Ripartire da Filottete per un’Europa plurale

di Gaetano Fimiani

Alla vigilia delle elezioni europee, tema su cui verteranno anche altri contributi di questo numero, che uscirà tuttavia dopo l’esito delle urne, ho voluto ripensare, in direzione letteraria, al tema della debolezza ontologica dell’uomo e di come l’insieme degli Stati dell’Unione, ad oggi, debba ripensare le sue strategie di lungo corso, rigettando le politiche di esclusione e abbracciando un principio di cura e responsabilità. Il riferimento che ci viene dall’antichità è quello della storia di Filottete, narrata da Sofocle, strettamente legata alla guerra di Troia, iniziata dopo la fuga di Elena con Paride. Filottete, partito con gli Achei verso Troia, calpesta un luogo sacro e viene morso da un serpente del tempio di Crise. La ferita al piede non guarisce: escono vermi e un odore insopportabile lo perseguita. Gli Achei decidono quindi di abbandonarlo sull’isola di Lemno, dove rimane per dieci anni in completa solitudine, eccetto la compagnia delle belve. In questo isolamento, la sua umanità si deteriora progressivamente, e la tragedia lascia intendere che non si tratta solo di una debolezza legata alla sua condizione di malato, ma all’esclusione da tutta quella sfera relazionale e affettiva che rende la vita dell’uomo pienamente significativa. Diverso tempo dopo però, poiché l’oracolo aveva predetto che solo Filottete con in pugno il suo arco avrebbe portato alla risoluzione la guerra di Troia, Odisseo allestisce una nave per riprendere Filottete e portarlo alla rocca. Neottolemo, che si era visto rifiutare le armi del padre Achille, avrebbe dovuto ingannare con la sua storia il protagonista, Filottete, pieno di odio verso i Greci, e invece di riportarlo in patria avrebbe navigato verso Troia. Ma Neottolemo commosso per la storia di Filottete gli rivela tutto: il protagonista si adira, e solo l’intervento dello stesso Eracle lo fa tornare alla normalità, esortandolo ad abbattere una volta per tutte la famigerata rocca. La domanda è la seguente: abbiamo fatto i dovuti conti con i passaggi, tutti intrinseci al corpo molle del secolo breve, dai totalitarismi che hanno annullato volontà e dignità dell’uomo, all’avvento del capitalismo con la sua promessa di benessere per tutti al costo di coartare i diritti sociali, alla globalizzazione che ha trasmesso l’idea che lo Stato possa lasciare il passo ad un villaggio globale con leggi imposte dalla tecnologia? La mia idea è che tutte queste forme non siano mai state definitivamente superate e che gli aspetti deteriori di esse si riflettano sulla effettiva facoltà di partecipazione dei cittadini all’interno della polis comunitaria. Non ultimo problema il ricorso alle figure di leader carismatici che troppo di frequente fanno dell’esclusione un programma politico. Il fallimento dell’Europa sperimentata fino a questo punto è stato proprio nell’alimentare le diffidenze e le paure verso chi è diverso a tal punto da deteriorare la sua umanità, mentre la logica funzionale della finanza prende il posto della solidarietà. La situazione dei migranti nel Mediterraneo, esposti a gravi pericoli, rappresenta chiaramente questa vulnerabilità. Non dovremmo abbandonare a Lemno alcun essere vivente, perché la sua ferita è la nostra. La prossima volta potrebbe toccare a noi. Se la ferita di Filottete rappresenta la condizione di fragilità di ogni essere vivente, Heidegger ci ricorda che ognuno è quello che fa ed è determinato dalle cose di cui si cura, il che vuol dire che le nostre relazioni costruiscono il nostro essere.  La responsabilità, derivante dal latino “respondere” (rispondere a una chiamata), implica rispondere attivamente ai bisogni degli altri con premura e sollecitudine. Essere responsabili significa essere disponibili a fare quanto necessario per il benessere dell’altro, dichiarando questa disponibilità affinché l’altro sappia di poter contare su di noi.  Se tutto questo non avviene, significa che gli elettori sono assolutamente rappresentati dai leader cui delegano il potere, in una società dove non conta la capacità di “pensare con il cuore”, per citare Maria Zambrano. Ma la tragedia veicola almeno altre due riflessioni: sarà il giovane Neottolemo ad interessarsi a Filottete, in un dialogo fecondo tra generazioni, perché il giovane  sceglie la pietà e con ciò si pone fuori da ogni calcolo politico, ma solo questa sua compassione permette di recuperare Filottete e il suo arco alla missione, suggerendo un diverso modo di intendere la convivenza e l’assetto sociale, che preveda l’integrazione del diverso, non fosse altro che per assicurare gli interessi di una visione pluralistica del mondo. La cura e la pietà di Neottolemo si configurano in ultimo come scelte pienamente politiche. Per rendere l’Europa all’altezza del suo compito storico in questo momento, è indispensabile ripartire da Filottete.

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