L’Europa tra passato e presente: nascita di un’idea

di Natalia Zambrano

A distanza di poco tempo dal voto per il parlamento europeo dell’8 e 9 giugno scorso, abbiamo deciso di dedicare una riflessione al concetto di Europa, a partire dalla lettura dell’opera di Federico Chabod, “Storia dell’Idea di Europa”, in cui lo storico italiano, attraverso un’attenta analisi storiografica, ricostruisce le tappe che hanno segnato la nascita della “coscienza europea”.
Se ci continuiamo a porre la domanda “che cos’è l’Europa?”, è perché difficile dare una definizione univoca, al di là della connotazione geografica.
Dovremmo riferirci all’Europa dell’Impero Romano o a quella dell’ecumene cristiano? O forse all’Europa di Maastricht o, ancora, a quella immaginata da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni a Ventotene?
Chabod ci mostra come, nella culla della cultura occidentale, la Grecia, il concetto di Europa non solo investa l’universo mitologico (Europa era la figlia del re di Tiro che venne rapita da Zeus sotto le sembianze di un toro), ma anche quello politico-sociale: nasce infatti una concezione di Europa in contrapposizione con la cultura orientale. In particolare, la differenziazione si basa sull’associazione del mondo ellenico con il concetto di libertà, e di quello asiatico con il concetto di servitù; in definitiva, con il termine Europa si configura tutto ciò che non è Asia. Qualche secolo dopo, quasi tutto il continente si ritrova unito sotto l’aquila romana e netta è la contrapposizione geografica tra romani e barbari, che ben presto viene affiancata dalla distinzione tra cristiani e pagani, tanto da essere sostituita da quest’ultima. Per tutto il corso del medioevo, dunque, risulta ben chiara l’idea che il Vecchio continente fosse portatore di istanze di libertà e di diritto, ereditati dal patrimonio ellenico-latino, e intriso della morale cristiana.
Per avere una visione dell’Europa slegata da quella cristiana, dovremmo aspettare il Secolo dei Lumi, anche se Chabod ravvisa nella visione Machiavelliana di Europa il primo germe di questa concezione laica. Machiavelli sviluppa la dottrina dell’equilibrio europeo, ovvero la necessità di utilizzare lo strumento diplomatico per tenere in piedi la molteplicità di stati, al fine di salvaguardare la libertà dell’Europa e impedire l’avvento di una monarchia universale.
Chabod nota come da questo momento in poi “per l’una e per l’altra via, la via dei politici e la via degli utopisti, quella che ne usciva con contorni sempre più netti, precisi, era l’immagine dell’Europa come di un corps politique, unitario per certi principi comuni, anche se diviso in vari organismi statali; un corpo dalle molte anime”.
Le grandi scoperte geografiche segnano un ulteriore momento di svolta in questo processo, perché se da una parte il centro nevralgico delle rotte commerciali dal mar Mediterraneo si sposta verso il grande oceano Atlantico, dall’altra questi cambiamenti “incidono sì profondamente sulla vita economica, ma insieme non meno profondamente sulla vita spirituale europea”. Il Rinascimento è un’epoca in cui per Chabod, al pari del Medioevo cristiano, permane un’idea di un ritorno alle origini, ad un passato in cui si è raggiunta la perfezione in tutti i campi: artistico, letterario, politico, sociale… Questo fenomeno porta ad una riscoperta delle comuni radici occidentali che, unendosi con i primi contatti che gli europei ebbero (proprio in questo periodo) con le popolazioni indigene che abitavano il globo, conduce gli europei, ancora una volta, a definire i propri caratteri in contrapposizione a quelli altrui. Esistono ovviamente eccezioni al caso, basate sull’esaltazione della figura dell’indigeno in quanto legato da un rapporto viscerale con la natura, e rappresentate dall’elogio che Montaigne fa della “purezza” dei cannibali o anche dal mito del “buon selvaggio” di rousseuiana memoria. Questo atteggiamento di alcuni pensatori occidentali si può spiegare dal loro rifiuto e talvolta disprezzo verso la società occidentale. Un sentimento questo che per Chabod accompagnerà gli europei fino alle soglie dell’Illuminismo, quando esploderà nei fuochi della Rivoluzione Francese, trasformandosi da teoria in prassi. L’idea che gli stati europei siano portatori di istanze di libertà si riafferma con forza in questo periodo, alla luce soprattutto dell’ideale repubblicano portato avanti dai rivoluzionari francesi. Prende vita l’associazione tra il concetto di Stato e quello di libertà.
Ed è proprio a partire da questo binomio Stato-libertà, che il processo di costruzione della coscienza europea entra in crisi. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo l’attenzione degli studiosi si è concentrata sull’Idea di nazione. Conseguentemente, l’idea di Europa che viene a delinearsi in questo periodo, sulla scia del pensiero di Guizot, Mazzini, Novalis e Rousseau, ha come principio cardine il rispetto dell’autorità politica e della componente civile dei singoli stati. Questo avviene in seguito all’epidemia nazionalista che ha contagiato l’Europa tra il XIX e il XX secolo, e che ha messo sullo sfondo gli elementi che fino ad allora avevano costituito il comune “sentire europeo”: l’interesse collettivo viene messo da parte, per far emergere l’interesse particolare delle singole nazioni.
Ne consegue, che il comune senso europeo si sia sviluppato attraverso la contrapposizione con le realtà al di fuori del limes geografico del continente e il rapporto con gli altri popoli si sia sempre basato sul concetto di superiorità della grande civiltà europea. Ad incidere profondamente sulla formazione dell’idea d’Europa, sono stati anzitutto i fattori culturali e morali, primo quello di libertà, valore del quale gli europei si sono fatti sempre portatori. Mi preme sottolineare che il concetto di libertà sia stato inteso come di esclusivo appannaggio europeo: la storia del nostro continente mostra chiaramente come l’atteggiamento avuto dai coloni europei nei confronti delle popolazioni autoctone si sia basato su principi razzisti e che le teorie sulla razza siano state al centro dell’attenzione di molti pensatori europei.
Ponendo lo sguardo oltre all’analisi dell’opera di Federico Chabod, che si chiude alle porte del Novecento, sappiamo bene che gli eventi dello scorso secolo hanno segnato particolarmente la storia del Vecchio continente. Il XX secolo è, a mio modo di leggere la storia europea, spaccato in due: seppur, come ben sappiamo, la fiamma dell’europeismo non si sia mai spenta del tutto, all’inizio del secolo il nazionalismo l’aveva resa flebile, rischiando di soffocarla sotto il peso di due conflitti mondiali; è proprio dalle ceneri di questi eventi che nasce la prima vera e propria spinta al processo di integrazione europea. È come se l’Europa avesse avuto il bisogno di auto distruggersi completamente prima di rinascere. Ed è rinata proprio sotto il segno di quel sentimento di appartenenza a radici comuni e, nondimeno, dalla volontà di instaurare una pace perpetua all’interno del continente. Nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) molti di quei ragionamenti alla base dell’Idea di Europa, trovano la loro espressione:
“I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.”
Ancora oggi, il dibattito sulle modalità di avanzamento del processo di integrazione è molto acceso. Le discussioni si concentrano su temi complessi e interconnessi: politico, economico, civile, sociale. Tra le questioni più dibattute vi è la direzione futura da dare all’Unione: se avanzare verso un modello federalista, se riprendere il progetto di difesa comunitaria in risposta alle minacce globali, o ampliare i confini accogliendo nuovi Stati membri.
In conclusione, l’Unione Europea si trova oggi davanti ad un bivio: può lavorare per rafforzare la strada dell’integrazione o rischiare di frammentarsi sotto le pressioni interne ed esterne. Resta comunque salda la fede collettiva verso questo esperimento unico nella storia dell’umanità e verso quelle radici culturali e morali che hanno dato vita all’Idea di Europa.

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