Diario del Lettore: I Placidi Sentieri dei Nidi di Ragno.

Che cosa significa leggere? Cosa ci spinge ai libri? Cosa proviamo quando leggiamo?  Non ci sono risposte giuste o sbagliate a queste domande, perché ognuno vive un rapporto diverso e unico con la lettura. In questa rubrica proveremo a raccontare le varie sfaccettature che caratterizzano l’esperienza di lettura  cercando di definire e mappare il tipo di sensazioni che suscita un buon libro.

 

 



di Francesco Maria Bevilacqua

#Lettore 6

Ricordo ancora il momento in cui mi sono imbattuto per la prima volta ne “I sentieri dei nidi di ragno” di Italo Calvino. Non ero un lettore accanito allora, ma qualcosa nella copertina e nella trama del libro mi attirò irresistibilmente.

Questo articolo non vuole essere una semplice recensione, bensì un vero e proprio diario che racconti la mia esperienza da lettore, un viaggio personale attraverso le pagine che mi hanno introdotto al mondo della letteratura.

Ho scoperto “I sentieri dei nidi di ragno” per caso, durante i primi anni di liceo, grazie ad una delle mie professoresse. Devo ancora tanto a quella docente che, inconsapevolmente e un po’ per caso, è riuscita a cambiare la mia vita, a darle un’ampiezza e una potenza di riflessione consistentemente diversi. 

Il ricordo è ancora vivido e si impone alla mia memora: immediatamente rimasi freddato, attonito dalla copertina di questo piccolo libro. Essa mostrava una scultura in metallo composta da diverse sfere d’acciaio in un equilibrio affascinante e, al tempo stesso, spaesante. Un equilibrio freddo, geometrico, simile ad un insieme di ingranaggi svelti e taglienti. Sfere così lucide che sembravano poter riflettere il volto del lettore, pur nella loro cartacea matericità.   

 La descrizione sul retro parlava di un ragazzo, Pin, e delle sue avventure durante la Seconda Guerra Mondiale. Prima di iniziare la lettura, ero curioso di sapere come un bambino potesse vivere e, fino a che punto, potesse anche comprendere un periodo così complesso e drammatico.

Ed ecco che, sin dalle prime righe, mi trovai completamente immerso nel mondo di Pin. La scrittura di Calvino, immediata e vivida, è capace di evocare immagini potenti ed indelebili. Pin, il giovane protagonista, vive con la sorella in un ambiente povero e difficile. Ciò che immediatamente colpisce è la descrizione di questo fanciullo, non più tanto piccolo ed innocente, perché “[…] sa di non essere come gli altri bambini. Lui conosce i segreti dei grandi e questo lo rende diverso, lo isola.” 

Calvino descrive con maestria i personaggi che circondano il giovane: uomini e donne della Resistenza, ognuno con la propria storia e le proprie cicatrici che, insieme, tratteggiano perfettamente i contorni di quest’infanzia sfuggita alle mani del tempo

Uno dei capitoli centrali e più toccanti del romanzo credo sia quello in cui Pin trova rifugio nel bosco e scopre il “nido di ragno”. In questo luogo segreto, Pin sembra trovare un senso di pace e sicurezza, lontano dagli orrori della guerra, spietata ed indifferente anche davanti agli occhi innocenti di un bambino. La descrizione di Calvino, ancora, poetica e struggente:

 “Il bosco è il regno di Pin. Qui, tra gli alberi e i cespugli, si sente finalmente al sicuro. Il nido di ragno è il suo rifugio, il suo segreto.” 

Un ulteriore momento di non trascurabile importanza è rappresentato  dall’incontro di Pin con suo Cugino, un partigiano solitario. La loro amicizia è descritta con una delicatezza in netto contrasto con la brutalità del contesto in cui vivono, sicché, nonostante le atrocità, nonostante la devastazione che li circonda, essi riescono ad essere uno in due.

Nei loro sguardi e nei piccoli gesti c’è un conforto silenzioso, una comprensione che non ha bisgno di gesti ne parole. In un fragile abbraccio di carne e spirito, riescono a trovare un rifugio dalla fredda e precisa macchina della guerra: ” […] Il cugino sorride a Pin e per un attimo il mondo sembra un posto meno spaventoso. ‘Siamo tutti soli, piccolo,’ gli dice. ‘Ma insieme possiamo essere meno soli.‘” 

Alla fine del libro, senza voler qui anticipare troppo, una sensazione di malinconia mista a soddisfazione prende il sopravvento. Pin è cresciuto, ha affrontato le sue paure e, per quanto imperfetto, trova un posto nel mondo. Non ci sono soluzioni facili, le domande, i dubbi, rimangono tanti: 

Pin guarda il cielo e si chiede cosa ne sarà di lui. Ma sa che, qualunque cosa accada, non sarà mai più lo stesso.” 

I sentieri della mia lettura erano, così, intrecciati, con la robusta delicatezza dei fili di un nido di ragno e pronti a sostenermi nei momenti di dubbio. Ogni svolta, ogni bivio del sentiero mi ha rivelato nuovi punti dai quali mettere a fuoco il mondo, proprio come il cammino di Pin attraverso le difficoltà della guerra gli ha rivelato la resistenza e la bellezza nascosta in seno alla vita.

Una storia, un dramma che conserva, purtroppo, la sua attualità: risuona, tristemente, l’eco del conflitto israelo-palestinese e della mostruosità che continua a portare con sé. I bambini rimangono spettatori e vittime di atrocità che deformano la loro infanzia, rubandola e spezzando quanto d’innocente e genuino conserva ancora un fanciullo nei propri occhi. L’esposizione alla violenza, all’animalità sempre in agguato nelle nostre ombre, incide ferite profonde e difficili da coagulare, parafrasando Calvino, si cresce, sì, ma non si è più gli stessi.

Si apre un baratro. Si vede ciò che l’uomo può fare, e non seguendo un piano articolato, bensì in una spirale in crescendo e senza soluzione d’uscita.

Un gorgo in cui i partecipanti sono travolti senza che la maggioranza di essi sappia o voglia ciò di cui soffrirà in questa inesorabile progressione. Utilizzando le parole con le quali Karl Jaspers, un uomo che ha avuto modo di vivere le barbarie della guerra, descriveva l’animalità sfuggita alla ragione durante il secondo conflitto mondiale: “Quel che può avvenire dell’uomo è oggi, quasi improvvisamente, diventato manifesto attraverso una mostruosa realtà che sta di fronte ai nostri occhi come un simbolo dell’estremo limite.” 

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