di Gaetano Fimiani
Un padre e un figlio si ritrovano nelle strade di Civitavecchia dopo aver seppellito per anni il loro affetto e le loro domande. Livida ed essenziale, la mano dietro la macchina da presa di Ettore Scola accompagna il loro tentativo di superare le incomprensioni. Due giganti, sulla scena: Marcello Mastroianni e Massimo Troisi. La domanda “Che ora è?”, posta dal padre al figlio nel donargli l’unico bene che accetta, un vecchio orologio che era appartenuto al nonno, non è solo il tentativo di orientarsi nel tempo, ma un modo per chiedere, implicitamente, dove siamo nel corso della nostra vita, cosa resta da fare, da dire, da vivere. Giacomo Leopardi, con il suo Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere, ci mette però in guardia dall’inganno del futuro: la speranza che attribuiamo al tempo che verrà è spesso illusoria. Ogni nuovo anno si veste delle promesse di ciò che desideriamo, ma si consuma nel perpetuo ritorno del disinganno, in una catena che solo la nostra coscienza può spezzare. La domanda “Che ora è?” non è allora una ricerca di mera puntualità, ma un anelito verso un tempo che pare sfuggirci sempre, rimandando la felicità a un futuro che non arriva mai. Abbracciare l’anno nuovo con pienezza e autenticità, sostando nell’orizzonte del kairos più che del chronos, voglia significare allora per tutti riscoprire la luce segreta che brilla nel quotidiano, l’accordo che si rinnova nella sinfonia dell’esistenza. Le rubriche di questa rivista sono a disposizione di chi voglia mettere a frutto i propri interessi e le proprie passioni. Anche grazie al contributo di chi ci legge, vogliamo realizzare per il 2025 una pubblicazione digitale che sia di stimolo e spunto per creare uno spazio di critica, confronto e trasformazione: quello che Fedora è stata fino ad oggi nell’affermazione del senso dell’umano. AUGURI.